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La dimensione culturale come sfondo per l’adeguatezza dell’assetto organizzativo di Marcello Martinez

  1. Cultura e sovrauttura

Le esigenze di coordinamento interne ad un’azienda possano essere risolte: a) attraverso il raggruppamento delle attività in unità e delle stesse in unità di grado superiore e, dunque, la costituzione di una gerarchia; b) mediante l’inserimento di meccanismi di coordinamento strutturali, c) mediante, infine, il ricorso a sistemi di pianificazione e controllo del comportamento.

E’ importante ricordare che anche con la sovrastruttura si influenza il comportamento dei membri di un’organizzazione e si esercita un’azione di controllo e coordinamento mediante il ricorso a specifici meccanismi di creazione, diffusione e rinforzo di alcuni valori e attitudini di fondo dell’azienda. Si tratta, pertanto di una forma di coordinamento diverso da quello razionale (design), caratteristico dell’infrastruttura e della sociostruttura, e, invece, più di tipo ideologico normativo (devotion). Infatti, è evidente che le aziende, e con loro le persone che le costituiscono, sono caratterizzate da una propria storia naturale che deriva dall’insieme di decisioni, accadimenti, eventi e imprevisti che, elaborando più o meno esplicitamente dei modelli di comportamento informali diffusi e ormai consolidati, le hanno plasmate, condizionate, “formate”. E’ proprio evidenziando anche la sovrastruttura, dunque, che può individuarsi una delle risposte al problema dell’isomorfismo e cercare di comprendere come, anche a fronte di scelte manageriali razionali simili (appunto di progettazione organizzativa nell’ambito dell’implementazione della Strategic Choice) ogni organizzazione in realtà appaia caratterizzata da una sua forma unica e, spesso, non riproducibile.

La sovrastruttura di un’azienda, in effetti, è costituita da tutti quegli elementi che compongono la sua cultura. Occorre precisare che il significato attribuito a tale termine non è assolutamente univoco. Infatti, possono distinguersi almeno tre concezioni prevalenti di cultura organizzativa.

Secondo una concezione cognitivista, la cultura consiste in un sistema di cognizioni socialmente acquisite e condivise le quali forniscono agli attori gli schemi mentali per percepire, interpretare, valutare, agire. Da questo punto di vista, essa si manifesta attraverso gli schemi mentali, i pregiudizi, i sistemi di analisi, i modelli logici e razionali che influenzano il processo di decisione dei membri di un’organizzazione.

Secondo una concezione strutturalista, invece, la cultura costituisce l’espressione, il risultato o la proiezione di costruzioni psicologiche inconsce ed universali. Tale impostazione è sostenuta dall’ipotesi che anche il comportamento collettivo di un’organizzazione possa essere compreso facendo riferimento a teorie psicanalitiche e psicologiche e, dunque, ricorrendo a “patologie” comportamentali quali il narcisismo, la drammatizzazione, la schizofrenia, etc.

Secondo un approccio simbolico, infine, la cultura consiste in un’architettura di significati attraverso cui gli uomini interpretano le proprie esperienze e dirigono le proprie azioni. La cultura, dunque, è intesa come “il sistema di significati accettati pubblicamente e collettivamente da un dato gruppo in un determinato periodo; questo sistema di termini, forme, categorie e immagini rappresenta il modo in cui tale gruppo di persone interpreta la realtà” (Pettigrew, 1979).

Contrariamente ai due approcci precedenti, una interpretazione simbolica della cultura non cerca di identificare aspetti generali e universali, e dunque, in linea di principio validi e riconoscibili in ogni organizzazione, ma al contrario enfatizza la rilevanza di quegli elementi che aiutano a comprendere l’unicità della forma organizzativa di una specifica azienda, senza preoccuparsi di collocarla all’interno di uno schema o modello già elaborato. La cultura, infatti. appare composta da alcuni elementi fondamentali definibili come i suoi contenuti e si manifesta attraverso specifici simboli, che dunque ne rappresentano gli elementi visibili e interpretabili.

 

  1. Cultura e devotion

Per poter distinguere le diverse modalità utilizzate dalle aziende per coordinare attraverso il controllo sovrastrutturale (devotion) il comportamento dei propri membri è utile scomporre la cultura nei suoi componenti di base, vale a dire: a) i valori condivisi e le idee guida; b) le ideologie; c) gli assunti fondamentali.

I valori condivisi e le idee guida rappresentano le convinzioni e i giudizi di preferibilità che guidano il comportamento dei singoli e che, in sostanza, definiscono ciò che è positivo o negativo, ciò che è bene o male, ciò che è deontologicamente corretto o scorretto e così via. In termini più aziendali, si può interpretare come valore condiviso l’obiettivo o la mission dell’azienda che, appunto, dovrebbe essere accettata dai membri di un’organizzazione.

Alla base dei valori, si colloca l’ideologia portante dell’organizzazione, cioè il sistema logico che legittima i valori condivisi, giustificandoli razionalmente e inserendoli all’interno di un ragionamento articolato di carattere politico, sociale, etico.

La stessa ideologia, a sua volta, è sostenuta dagli assunti fondamentali, cioè da principi etici e morali non discutibili, dati per scontati. Secondo Schein (1984) è possibile identificare almeno sei assunti di base che sostengono la cultura di un’organizzazione:

1) la relazione dell’azienda con il business system (dominazione, sopravvivenza, competizione, cooperazione, etc);

2) la natura della realtà e della verità (vale a dire com’è comprensibile il mondo esterno, mediante la scienza, l’esperienza, l’intuizione, la magia etc.);

3) la natura del tempo (il tempo è circolare; il tempo è caratterizzato da un continuo progresso; il tempo più importante è il passato, occorre guardare al futuro; ciò che conta è il presente etc.).

4) la natura dell’uomo (l’uomo è prevalentemente opportunista, egoista, altruista etc.);

5) la natura dell’attività umana (cosa è il lavoro, cosa è il tempo libero, cosa è lo svago etc.);

6) la natura delle relazioni umane (è prevalente l’individualismo o il collettivismo, la cooperazione o la competizione etc.).

La cultura esercita una forte azione di coordinamento dato che è ragionevole ipotizzare che “gli individui adeguino le attitudini, i comportamenti e le convinzioni al contesto sociale e alla realtà presente e passata del proprio comportamento e situazione” (Salancick, pfeffer, 1978). Si assume cioè che sia più rapido e più semplice “dare per scontati” alcuni atteggiamenti e modi di agire, accettarli come efficienti ed efficaci ed adottarli o assumerli come base di partenza per miglioramenti incrementali. Da questo punto di vista la cultura è in grado di assicurare un allineamento di obiettivi e di comportamenti dei singoli all’interno dell’azienda, in modo alquanto rapido e docile. Alla base di tale effetto, si colloca un processo di identificazione dell’individuo con l’organizzazione, fondato sia sul vantaggio che il singolo attore percepisce nel “fidarsi” di comportamenti e decisioni già sperimentate, senza dunque dover ripartire da zero per la ricerca di soluzioni a problemi risolti in precedenza, sia un “effetto contagio” che induce ad evitare “condotte devianti”, dato che la loro realizzazione sarebbe estremamente difficile, costosa, se non addirittura in conflitto con il resto dell’organizzazione.

 

  1. Il pluralismo culturale

Tuttavia, l’ipotesi che la sovrastruttura sia costituita da un’unica cultura prevalente si scontra con l’osservazione di quelle realtà aziendali che, invece, sono caratterizzate da diverse sottoculture, a volte anche in opposizione le une con le altre. Esempi di tale pluralismo culturale sono particolarmente evidenti quando si è in presenza di aziende nate attraverso una fusione di due realtà societarie separate e autonome, ma successivamente unificate; quando l’azienda attraversa una fase di cambiamento organizzativo guidato, ad esempio da un nuovo management; quando si è avviato un processo di privatizzazione di aziende pubbliche etc. In tutti questi eventi straordinari per la vita di un’azienda, la cultura, più che rappresentare l’elemento unificante, sembra essere uno dei principali ostacoli al coordinamento collettivo, dato che spesso la cultura “vecchia” è in grado di rappresentare uno dei principali fattori inerziali e di resistenza al “nuovo”.

Tuttavia, ad un’osservazione più attenta non può sfuggire che lo sviluppo di più subculture all’interno di una stessa organizzazione non è un fenomeno raro, anzi è piuttosto probabile, soprattutto quando le sue dimensioni aumentano e il grado di interazione fra i suoi membri è meno intenso. Alla base di una separazione culturale, infatti, si possono riconoscere le differenze espresse dai diversi specialisti funzionali in merito alla natura del business: le prospettive che guidano gli uomini del marketing, ad esempio, possono essere molto diverse da quelle degli ingegneri della produzione; i tecnici della ricerca e sviluppo possono far riferimento a linguaggi e codici completamente diversi dagli amministrativi e così via. Ogni gruppo in sostanza può aver sviluppato dei propri sistemi simbolici di interpretazione del business e di definizione delle priorità, per cui l’organizzazione appare come un mosaico culturale.

Ulteriori separazioni culturali possono, inoltre, emergere fra gruppi interni all’azienda ma contraddistinti da un diverso background e status sociale o da una diversa cultura etnica. Tali differenze si possono, infatti, tradurre in difficoltà relazionali nell’agire quotidiano delle persone, e possono costituire delle vere e proprie barriere invisibili fra i diversi gruppi.

Inoltre, non tutti i membri di un’organizzazione sono contraddistinti da una simile identificazione nella realtà aziendale in cui lavorano. Gli individui portano all’interno dell’azienda le proprie convinzioni politiche e culturali, nonché sviluppano relazioni sociali privilegiate con alcuni colleghi e non con altri, a volte sostenendole con interessi, hobbies, in comune. Le relazioni sociali create all’interno dell’azienda sulla base di relazioni di amicizie affinità caratteriale possono costituire il fondamento di coalizioni informali, a volte in contrapposizione le une con le altre.

Infine, non bisogna dimenticare il ruolo svolto dalle associazioni sindacali nel frammentare o consolidare le separazioni culturali all’interno di un’azienda. Spesso, i sindacati si fanno portatori di una vera e propria controcultura, nel senso che la loro stessa esistenza si basa sul principio che gli interessi dei lavoratori siano distinti, se non opposti, a quelli dei datori di lavoro. Inoltre, ogni sindacato rappresenta una vera e propria controganizzazione, con proprie strutture, ruoli, con una sua ideologia e una sua storia, diversa da settore a settore e da azienda ad azienda.

Un’efficace definizione delle sovrastrutture frammentate che contraddistinguono tali realtà aziendali è quella di anarchie organizzate o puzzle organizzativi. Con tale accezione si vuole sostenere che si è in presenza di situazioni in cui la cultura, più che essere un collante, esprime un conflitto, un disordine, una confusione e un’elevata incertezza comportamentale. Pur tuttavia, anche in tale apparente caos, il dialogo e il contrasto fra più subculture possono rappresentare un elemento di organizzazione e aggregazione che, anche se non coerente con un’idea tradizionale di armonia e omogeneità, in ogni caso costituiscono un rilevante fattore di influenza dei comportamenti dei singoli.

 

  1. Le manifestazioni della cultura organizzativa

Nelle realtà aziendali le espressioni esterne della cultura possono essere sia dirette sia indirette. Il primo caso è riscontrabile ogni qual volta l’azienda produce dei documenti nei quali enuncia chiaramente il sistema di valori che ritiene di sostenere. Tali documenti, chiamati a volte proprio Carta dei valori, Missione d’azienda, Regole d’oro e così via, in effetti rappresentano la cultura formale, quella cioè in genere promossa e legittimata dal Top management. Sebbene tali manifestazioni dirette abbiano una rilevante importanza ai fini della visibilità e trasparenza degli obiettivi aziendali, di gran lunga più indicative sono le espressioni che indirettamente rivelano il modo di pensare e di agire dei membri dell’organizzazione. E’ ovvio ricordare che i valori e le idee guida, gli stessi obiettivi sostenuti dal top management potrebbero non essere per niente condivisi ai livelli più bassi della scala gerarchica o, addirittura, essere volutamente boicottati. Tra le manifestazioni indirette più utili per un’adeguata comprensione della cultura di una specifica azienda possono ricordarsi: il linguaggio; i miti; gli eroi; le storie; le saghe; i riti e le cerimonie; i rituali; gli artefatti materiali. Si tratta di aspetti della vita organizzativa di un’azienda che hanno una valenza simbolica elevatissima. Infatti, sono in grado di fornire informazioni che vanno ben oltre quello che è il significato apparente attribuitogli: sono strumenti, abitudini, racconti, comportamenti, eventi che comunicano in modo indiretto, ma anche ambiguo, proprio il sistema di valori, le linee guida, l’ideologia e gli assunti di base che contraddistinguono la cultura dell’azienda.

Il linguaggio, in particolare, rappresenta un veicolo fondamentale di comunicazione e di trasmissione della cultura di un’azienda. Il ricorso a certe espressioni verbali, a metafore, a giochi di parole, a proverbi o modi di dire più o meno diffusi possono essere un indicatore importante del sistema di valori diffuso all’interno dell’organizzazione.

Sul linguaggio si fondano espressioni simboliche basate sulla trasmissione orale di informazioni all’interno delle aziende. Ad esempio, i miti sono dei racconti che descrivono episodi (reali o immaginari) ritenuti importanti per la storia dell’organizzazione. Con il ricorso al mito, in genere si legittimano o si delegittimano specifici comportamenti o azioni o si fanno riferimenti a personaggi, gli eroi, che hanno svolto un ruolo ritenuto fondamentale per la fondazione, lo sviluppo, la trasformazione dell’azienda. Le storie, invece, si riferiscono ad aneddoti relativi alla vita quotidiana dell’azienda e consentono la trasmissione di codici di comportamento errati o corretti relativi alle relazioni interpersonali, ai rapporti capo collaboratore, alle decisioni del top management. Con tali racconti, si comunicano eventi che possono rappresentare dei validi riferimenti per chi lavora in azienda: facendo riferimento alla nota storia, si possono assumere informazioni utili per orientare le proprie azioni. Particolari combinazioni di miti e di storie che raccontano più articolatamente la vita di un’azienda costituiscono le saghe.

Espressioni simboliche di tipo comportamentale, basate cioè su un insieme complesso di gesti, di azioni, di simboli materiali veri e propri (bandiere, inni, colori aziendali, logo etc.) che trasmettono informazioni e vincoli comportamentali, sono i riti, le cerimonie e i rituali. I riti e le cerimonie sono eventi collettivi e sociali eccezionali con una valenza generalmente celebrativa, i rituali invece sono riscontrabili nel quotidiano e influenzano il lavoro di tutti i giorni. Nel caso dei riti ci si riferisce ad azioni collettive che esercitano un elevato impatto emotivo sul singolo e che sottolineano particolari momenti della vita aziendale, quali una promozione, una premiazione, una degradazione; ma sono riti anche i festeggiamenti natalizi, i convegni periodici, i corsi annuali di formazione, le convention. Le cerimonie, a loro volta, sono eventi composti da un gran numero di riti, composti all’interno di uno scenario più solenne ed articolato. I rituali, invece, riguardano più il comportamento quotidiano che è in tal modo indirizzato all’interno di un sentiero noto e standardizzato. Si tratta di vere e proprie routine che rassicurano i membri dell’organizzazione della correttezza del loro comportamento e che li guidano nelle relazioni quotidiane con i colleghi, con il superiore, con i clienti. possono essere considerati rituali quotidiani la pausa a metà mattinata, il break pomeridiano, il recarsi sempre allo stesso ristorante o mensa aziendale, etc.

Infine, un’ultima espressione simbolica materiale della cultura aziendale può essere individuata negli artefatti materiali adottati dall’azienda, cioè nel lay out degli uffici, nella forma degli edifici, nei colori delle divise, nell’arredamento, etc. Tutti questi oggetti esprimono, in un certo senso, la materializzazione e la reificazione dei valori aziendali, dei modi di sentire, e trasmettono indirettamente segnali di comportamento che, naturalmente, vanno ben oltre le intenzioni pianificate.

Occorre sottolineare, infatti, che tutte le espressioni indirette devono essere ritenute come dei simboli e come tali non sono caratterizzati da un unico significato, ma, contrariamente ai segni fondati da una corrispondenza univoca tra significato e significante (cioè l’oggetto che si utilizza per comunicare un determinato concetto) possono essere oggetto di interpretazioni difformi e ambigue a seconda ad esempio degli interessi in gioco, anche all’interno di una stessa realtà organizzativa. Una corretta interpretazione della sovrastruttura organizzativa di un’azienda, dunque, dovrà necessariamente basarsi su una metodologia che si sforzi di integrare i diversi punti di vista e che sia capace di esplicitare le diverse posizioni e i diversi interessi. Una modalità di analisi della cultura di un’azienda “vista dall’esterno” è, ad esempio, presentata nel riquadro successivo.

 

  1. Conclusioni

In base alle considerazioni effettuate nei paragrafi precedenti, risulta evidente che la cultura organizzativa può essere gestita entro certi limiti, proprio perché essa risente della cultura di fondo entro cui agisce l’organizzazione e perché essa a livello aziendale, è anche e soprattutto, il risultato delle interazioni spontanee e quotidiane che, per lungo tempo, sono intercorse fra le persone. Più precisamente, però, può ritenersi che il ricorso alla cultura come leva manageriale per conseguire consapevolmente obiettivi di controllo e coordinamento possa escludersi categoricamente, solo se si considerano azioni manageriali di tipo meccanico, fondate cioè su una semplice logica di causa effetto. Interventi di tale genere, infatti, appaiono tipicamente manipolatori, coercitivi e anche controproducenti: la cultura, in sostanza, non può essere imposta, e spesso i tentativi volti a modificarla si scontrano con una resistenza inaspettata.

Tuttavia, è anche vero che il management può considerare la cultura come un’area di intervento, nel senso di promuovere iniziative di indottrinamento e socializzazione, volte a indirizzare il comportamento dei singoli in conformità ad un sistema di valori che, con tali politiche, viene comunicato, promosso e legittimato.

Più precisamente, per indottrinamento si intende l’uso di tecniche formali per sviluppare l’identificazione dell’individuo con l’organizzazione o gruppo a cui appartiene. L’indottrinamento può assumere connotazioni estreme quando, ad esempio, è utilizzato da organizzazioni militari o da religioni integraliste per “annullare” l’individuo a fronte delle esigenze del gruppo (che sia un corpo militare o una setta). Nelle aziende, invece, l’indottrinamento si traduce soprattutto nelle attività di formazione, nella progettazione dei riti e delle cerimonie, nell’uso di strumenti di comunicazione come i giornali interni e le newsletter e, in genere, nel ricorso a metodi di comunicazione ufficiali per proporre e trasmettere gli obiettivi (ad esempio la mission) e i valori condivisi.

La socializzazione, invece, ha un carattere più spontaneo, informale ed implicito: rappresenta un processo mediante il quale un individuo, spontaneamente, inizia ad apprezzare i valori, le competenze e i comportamenti attesi essenziali per svolgere attivamente il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione. Ad esempio, rappresentano importanti occasioni di socializzazione la partecipazione a eventi sociali organizzati e dunque ufficiali, la rotazione del management e del personale fra le diverse sedi, la progettazione di luoghi di incontro e di svago (circoli aziendali).

 

Pettigrew A. M., (1979), “On studying organizational cultures”, Administrative Science Quarterly, vol. 24.

Salancik G. R., Pfeffer J., “A social information processing approach to job attitudes and task design”, in Administrative Science Quarterly, vol. 23.

Schein E. H., (1984), “Coming to a new awarness of organizational culture”, Sloan management review, n. 4, vol. 25

 

 

 

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