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Rischio, incertezza e adeguatezza dell’Assetto Organizzativo di Marcello Martinez

1.Rischio, incertezza e comportamento organizzativo

 E’ intuitivo comprendere che le persone nelle aziende si trovano ad agire in condizioni di incertezza, in quanto non hanno a disposizione una formula, per così dire, che dimostri che la loro scelta sia senza dubbio la soluzione da adottare.

Negli Studi di organizzazione, una prima definizione di incertezza deriva dagli studi condotti nell’ambito delle teorie delle decisioni (March, Simon, 1958; March, 1994). In conformità a questa concezione occorre distinguere fra:

  1. situazioni di certezza;
  2. situazioni di rischio
  3. situazioni di incertezza.

Ci si confronta con una situazione definibile di certezza quando si ha una conoscenza completa e accurata delle conseguenze di tutte le alternative di azione, fra cui si può scegliere. In questo caso ipotetico la razionalità di un individuo gli consente di identificare la scelta ottima e non vi è alcun tipo di ambiguità nei suoi processi di scelta.

Si è in presenza invece di una situazione di rischio quando si conosce pienamente solo la probabilità delle conseguenze di ciascuna alternativa di azione. Di conseguenza si sceglierà quel comportamento che “con maggior probabilità” sarà in grado di far raggiungere i propri obiettivi.

Infine, si fronteggia una situazione di incertezza quando non si è in grado di assegnare alle conseguenze delle proprie azioni una precisa probabilità di accadimento e dunque la scelta diventa un problema. D’altro canto, potrebbe anche dirsi che se non ci fosse incertezza, il comportamento sarebbe scontato ed automatico e non vi sarebbe nessuna decisione da prendere e nessuna scelta da effettuare, dato che basterebbe applicare una “formula” per identificare la soluzione da adottare. Nei fatti, il principale effetto dell’incertezza è pertanto proprio di rendere un individuo incapace di distinguere, tra le alternative che ha a disposizione, la linea di condotta che gli è più conveniente adottare.

Una classica definizione di incertezza (Thompson, 1967) distingue fra incertezza nei fini ed incertezza nei mezzi: nel primo caso non sono chiari gli obiettivi da conseguire, mentre nel secondo non sono chiare le soluzioni da adottare per raggiungere quei risultati. Tale concezione di incertezza può essere comunque ampliata, considerando anche ulteriori situazioni che un individuo si trova a dover gestire:

  1. incertezza nelle preferenze;
  2. incertezza nella valutazione delle azioni e degli effetti;
  3. incertezza nelle relazioni causa effetto;
  4. incertezza nelle alternative di comportamento.

Ad un individuo potrebbero non essere noti a priori i vantaggi o gli svantaggi connessi ad un determinato comportamento. Pur ipotizzando una conoscenza delle conseguenze delle proprie azioni o di specifici eventi, una persona potrebbe non essere in grado di esprimere un giudizio di preferenza e di convenienza, perché ad esempio, non ha mai sperimentato in precedenza quel comportamento e, appunto, non sa se i risultati gli piaceranno o no.

In altri casi, potrebbe essere difficile valutare ex post le azioni messe in atto o le conseguenze delle proprie scelte o di eventi di contesto. Potrebbe, ad esempio, essere tecnicamente difficile osservare e misurare le risorse consumate per eseguire un’attività, i risultati raggiunti, il modo con cui l’attività è stata eseguita, il comportamento nei fatti seguito.

Un individuo, oltre a non saper assegnare una probabilità di accadimento alle conseguenze delle proprie azioni od eventi a lui esterni, potrebbe non conoscere le relazioni causa effetto che legano i diversi comportamenti ai risultati desiderati. Vale a dire che egli potrebbe non essere in grado di qualificare come corrette o sbagliate certe alternative di comportamento in quanto non conosce gli effetti che tali azioni potrebbero produrre.

Una persona, infine, potrebbe non essere neanche in grado di prevedere tutte le diverse alternative di comportamento o i diversi eventi che potrebbero accadere, in quanto una ulteriore linea di azione o un ulteriore evento potrebbe essergli sfuggito. In tal caso, si è chiamati a fronteggiare un’incertezza emergente dalla limitata conoscenza delle possibili azioni da eseguire per cui finirà per considerare solo quelle a lui note in quel momento.

Un’ulteriore distinzione da sottolineare è quella fra incertezza computazionale ed incertezza comportamentale. Nel primo caso, si è in presenza di un problema incerto perché non si può ricostruire precisamente il modo con cui le diverse variabili o i diversi fattori o eventi coinvolti interagiscono fra di loro per produrre un risultato o una soluzione. Ad esempio, cercare di prevedere che tempo farà tra un mese è compito assai arduo, data la numerosità e la variabilità delle forze e dei parametri da tenere sotto controllo. In senso lato, sistemi di Intelligenza Artificiale, una elevata disponibilità di dati possono ridurre tale incertezza, ma se attualmente previsioni ritenute attendibili si effettuano su di un arco temporale massimo di cinque giorni, è stato calcolato che per estendere di ulteriori 24 ore il grado di affidabilità delle attuali previsioni meteorologiche occorrono circa 10 anni di sviluppo tecnologico.

L’incertezza comportamentale, invece, si riferisce alla difficoltà di capire e prevedere quali sono gli interessi che motivano le altre persone e quale sarà di conseguenza il loro comportamento. Il problema, infatti, è che molto frequentemente le persone in relazione fra di loro possano mettere in atto comportamenti opportunistici e poco favorevoli gli uni agli altri; comprendere come evitare tale situazione potrebbe mettere al riparo da frodi o inganni. Una possibile riduzione dell’incertezza comportamentale in questi casi si può conseguire e si consegue attivando meccanismi di controllo (si osserva il comportamento dell’altra persona), di incentivo (si premia o si punisce una persona se mette in atto un comportamento piuttosto che un altro) o di fiducia (si stabilisce una relazione interpersonale tale da evitare che i comportamenti dell’uno siano sgraditi all’altro). Già da queste prime sintetiche riflessioni si comprende dunque come la riduzione dell’incertezza comportamentale derivi proprio dallo sviluppo di assetti organizzativi in grado di assegnare una relativa stabilità alle relazioni fra le persone.

2. Problemi strutturati, semistrutturati e non strutturati

Si è detto che l’incertezza si manifesta attraverso gli specifici problemi che bisogna affrontare e risolvere. Ma ovviamente non tutti i problemi sono uguali: alcuni sono più semplici, altri invece sono più complessi, altri addirittura sembrano irrisolvibili da sempre. E’ possibile distinguere i problemi che un individuo si trova ad affrontare in tre tipologie, evidenziando il diverso grado di incertezza che li caratterizza: problemi strutturati; problemi non strutturati; problemi semistrutturati (Simon, 1960).

In genere, può dirsi che meno i problemi sono strutturati, maggiore è l’incertezza che gli individui sono chiamati a fronteggiare.

Infatti, i problemi strutturati sono problemi ripetitivi, che si possono affrontare applicando una metodologia predefinita e delle soluzioni standard già note. In tal modo, non occorre ricercare ogni volta soluzioni nuove e differenti, posto che quelle già sperimentate si sono dimostrate valide, o meglio soddisfacenti. Si tratta dunque di problemi il cui livello di incertezza è tutto sommato abbastanza contenuto: per affrontarli si tratta solo di riconoscere e classificare il problema, ricercare la soluzione nota e verificare che le procedure e le risposte già elaborate siano ancora applicabili.

I problemi non strutturati, invece, si riferiscono o ad eventi inaspettati, mai verificatesi in precedenza e per i quali non è possibile fare riferimento ad uno standard di comportamento già elaborato, o a eventi per i quali una soluzione corretta non può assumersi se non dopo averla sperimentata. Si tratta in sostanza di problemi che devono essere risolti ex novo, senza un modello o una procedura guida. Affrontare un problema non strutturato richiede anche il ricorso all’intuizione, alla creatività, in uno sforzo di rappresentazione mentale che cerchi di affrontare un livello di incertezza molto elevato.

I problemi semistrutturati, naturalmente, sono quelli solo parzialmente risolvibili mediante il ricorso ad una procedura, ad un programma predefinito, ad un modello già elaborato. Essi, come quelli non strutturati, richiedono anche la ricerca di soluzioni e comportamenti i cui risultati sono incerti e valutabili solo ex post.

3.La connotazione relazionale dell’incertezza

 In ogni caso va evidenziato come l’incertezza che un individuo si trova ad affrontare non sia un attributo oggettivo di un evento e di un problema, ma semplicemente dipende da come tale evento o problema è percepito, interpretato e analizzato dall’individuo. Dunque, un problema non strutturato per una insufficiente capacità elaborativa computazionale di un individuo potrebbe diventare semistrutturato o strutturato se l’individuo apprende una nuova tecnica di comportamento o sviluppa tecnologie digital. Heiner (1983) chiarisce che l’incertezza è una situazione relazionale, nel senso che riguarda il rapporto fra individuo e problema, fra le sue capacità cognitive e computazionali e le complessità del contesto. Per realizzare i suoi obiettivi, un individuo deve avere delle competenze, deve avere delle informazioni sul contesto in cui opera, sapere se queste informazioni sono affidabili ed essere in grado di elaborarle. Normalmente tra le competenze di cui dispone una persona e la complessità della situazione che deve fronteggiare esiste uno scarto (competence difficulty gap) che può essere maggior o minore a seconda delle conoscenze dell’individuo e della complessità della situazione.

Tanto maggiore è questo scarto, tanto maggiore è il grado di incertezza che si deve fronteggiare, cioè tanto più difficile è per una persona “decifrare il mondo” o il contesto situazionale che si è chiamati ad interpretare ed affrontare. L’incertezza, quindi, non è da considerarsi una caratteristica oggettiva dell’ambiente, né un costrutto, né un tratto psicologico, ma va interpretata come una caratteristica della relazione che si stabilisce fra un individuo dotato di certe conoscenze e la complessità del problema da risolvere.

4.Incertezza, dati, informazioni e conoscenza

Secondo una nota distinzione i dati sono il materiale grezzo che compone una informazione: numeri, simboli figure sono semplici osservazioni relativi a pacifiche situazioni; i dati, inoltre, di per sé possono essere facilmente catturati, codificati, trasferiti, compattati.

Le informazioni invece nascono mediante un’elaborazione dei dati che vengono selezionati, aggregati, confrontati gli uni con gli altri. L’informazione è composta da dati cui si è assegnata una rilevanza ed uno scopo. Le informazioni allora richiedono che si sia già individuata un’appropriata unità di analisi, si sia raggiunto un consenso sul significato da attribuire ai dati e dunque sono il prodotto di un intervento di elaborazione mentale.

L’informazione si presenta spesso mediante una manifestazione fisica con cui si selezionano e si organizzano i dati proponendoli in un modo piuttosto che in un altro. Tuttavia, il valore di un’informazione è creato solo quando e ogni volta che l’informazione è acquisita da un utilizzatore che la elabora, ci riflette e la confronta consapevolmente o inconsapevolmente con la propria esperienza, con quella di altri, con le norme e regole sociali del contesto in cui si trova, e eventualmente modifica il proprio modo di pensare e di percepire gli eventi. Se dunque è solo con l’uso delle informazioni che si genera conoscenza, è bene chiarire tuttavia che la conoscenza non è una semplice descrizione di una data situazione ma ne costituisce una rappresentazione: il potere di organizzare, selezionare, apprendere e giudicare tipico della conoscenza deriva pertanto dall’incontro fra le informazioni disponibili e le convinzioni, le esperienze, i valori e le regole già possedute dalle persone e che evidentemente condizionano, indirizzano ed influenzano il valore ed il significato che si attribuisce all’evento osservato.

Secondo Daft e Macintosh (1981) l’incertezza è definita dalla differenza fra il volume di informazioni necessarie per svolgere un’attività e il volume di informazioni già possedute da un individuo. Per ridurre l’incertezza, dunque, si possono attivare processi di ricerca (search) delle informazioni. All’origine del processo di ricerca di informazioni vi è l’incertezza, cioè la mancanza di comprensione, un vuoto di significato che dà appunto origine ad un fabbisogno informativo, cioè all’esigenza di acquisire nuovi dati e informazioni. Più precisamente il fabbisogno informativo che attiva il processo di ricerca può essere distinto in quattro tipologie (Taylor, 1968): viscerale, consapevole, formalizzato e di compromesso. Il primo tipo di fabbisogno, detto viscerale si manifesta quando una persona avverte, senza riuscire neanche ad esprimerlo compiutamente e formalmente, un senso di insoddisfazione o di inadeguatezza della conoscenza e delle informazioni di cui dispone per comprendere appieno una situazione o un problema. Man mano che si riflette su tale esigenza ed essa viene dunque meglio compresa e analizzata, il fabbisogno informativo diventa consapevole. A questo punto la persona è in grado di esprimere un modello mentale con cui descrivere un problema, anche mediante un discorso, una storia, un esempio, o una metafora che ancora però racchiudono al proprio interno parte dell’ambiguità e dell’incertezza iniziali. Il confronto con amici o colleghi consente poi di ridurre ulteriormente l’ambiguità e di presentare il fabbisogno di informazioni in maniera formalizzata, sotto forma ad esempio di una domanda o di un progetto di ricerca. In questa fase il problema è espresso senza tener conto delle fonti di informazione disponibili che, invece, potrebbero condizionarne la soluzione. Quando infine, si avvia l’indagine e si individuano le fonti da cui trarre le informazioni necessarie (colleghi, amici, esperti, libri, documenti ecc.) allora il fabbisogno di informazioni viene riformulato in funzione dei possibili dati, informazioni che le fonti possono trasmettere. In questo caso, dunque, il fabbisogno informativo diventa un compromesso fra la teorica necessità e la conseguente richiesta di informazioni e la quantità e qualità di informazioni di cui si può effettivamente disporre. Probabilmente si scopre che le fonti rendono disponibili solo alcune informazioni e non altre, per cui la domanda o il progetto di ricerca iniziale dovranno essere ridimensionati o indirizzati verso risultati effettivamente raggiungibili. Detto in altri termini, in questa fase è la stessa domanda cognitiva che viene riformulata, dato che si sa che alcune informazioni non sono disponibili e che dunque non si può trovare risposta alla domanda inizialmente immaginata. E’ dunque probabile che parte del fabbisogno informativo iniziale rimanga irrisolto e che l’incertezza sia solo parzialmente sanata.

In sostanza, la ricerca di informazioni è profondamente influenzata dalla capacità cognitive e emotive delle persone che la mettono in atto, nonché dalle informazioni disponili in un certo tempo e luogo. In coerenza all’ipotesi della razionalità de-limitata, anche l’analisi del processo di ricerca evidenzia che un individuo non riuscirà mai ad acquisire tutte le informazioni necessarie per effettuare una scelta di comportamento ottima, dato che non potrà mai essere pienamente informato. Infatti, ogni processo di ricerca individuale di informazioni è molto costoso, richiede tempo, risorse, e comunque non dà garanzia che, estendendo la ricerca, si trovi una soluzione più soddisfacente di quella già elaborata, proprio come espresso dalla metafora dell’ago e del pagliaio.

In effetti, ciò che blocca il processo di ricerca di nuove informazioni è il cosiddetto paradosso dell’informazione: è impossibile valutare un’informazione prima di averla acquisita e compresa; infatti, quello che non si conosce non può essere valutato e per comprendere il valore di una informazione occorre averla già acquisita e quindi avere sostenuto il costo della sua ricerca, raccolta e acquisto (Arrow, 1974).

Sarebbe inoltre assurdo immaginare che, ogni qual volta si presentano nuovi problemi, si debbano acquisire tutti i dati e le informazioni necessarie per elaborare una conoscenza adeguata a trovare la soluzione soddisfacente. L’esperienza comune indica che in questi casi si preferisce acquisire una conoscenza minima per potere comunque decidere, o altrimenti ci si rivolge a qualcuno che ha già un’esperienza su quel problema per acquisire da lui informazioni, indicazioni o anche conoscenza.

Per fronteggiare l’incertezza, dunque, gli individui agiscono tipicamente in due direzioni: semplificano e riducono le informazioni necessarie per capire e agire, o aumentano la quantità di informazioni e conoscenza disponibile mediante l’attivazione di azioni dette collettive perché fondate sulla capacità di gestire relazioni interpersonali e sociali e progettano  un assetto organizzativo “adeguato”.

5.Incertezza e adeguatezza degli assetti organizzativi

Alla base di tutti i moderni studi di teoria dell’organizzazione e analisi del comportamento, si è consolidato un principio comune che considera la razionalità limitata come la spiegazione per cui progetta un assetto organizzativo rivolta ad affrontare (problem facing) e risolvere (problem solving) i problemi in situazione di incertezza (Simon, 1947, March, Simon, 1958; Cyert, March, 1963; Thompson, 1967; Giddens, 1984).

Si è detto, infatti, che oltre a mettere in atto semplificazioni cognitive, gli individui affrontano l’incertezza aggregandosi in assetti “organizzati”, in questo modo cioè si avvalgono di particolari meccanismi per governare l’incertezza, soddisfare più facilmente i propri desideri ed interessi e raggiungere così i propri obiettivi. Il vantaggio di “organizzarsi” è evidente: risultati non conseguibili da un solo individuo possono essere facilmente raggiunti da più persone che lavorano insieme.

Facendo parte di un assetto organizzativi gli individui si appropriano di un sistema di conoscenze e di esperienze che è superiore al proprio e che si manifesta attraverso procedure, routine, ruoli, strutture, linguaggi, valori condivisi. La modalità di funzionamento degli assetti organizzativi rappresenta una sorta di azione collettiva che conduce al raggiungimento di specifici obiettivi e alla soddisfazione delle esigenze individuali.

Giddens (1976, 1979, 1984), in coerenza con il concetto di fattori di condizionamento sociali espresso dai teorici della razionalità limitata, ritiene che i comportamenti individuali non possano non tener conto del contesto e, dunque, dell’assetto organizzativo all’interno del quale si sviluppano. Le persone, infatti, agiscono rispettando delle regole, e tenendo conto del fatto che in un contesto sociale alcuni individui hanno più potere di altri, in quanto, ad esempio, controllano più risorse, sono più influenti, hanno maggiori diritti (distribuzione asimmetrica di potere). È evidente infatti che assetti organizzativi diversi giustificano comportamenti diversi, in quanto le persone recepiscono dall’assetto di riferimento i codici di interpretazione e valutazione dei comportamenti che osservano e così attribuiscono loro un significato piuttosto che un altro.

Tuttavia, la relazione fra persone e assetti organizzativi è duale: secondo Giddens sono proprio le persone che, con il loro comportamento quotidiano e ripetuto, creano gli assetti organizzativi, ma gli assetti a loro volta danno significato e forma alle azioni delle persone. Più precisamente, gli assetti organizzativi sono costruiti dagli individui attraverso l’azione sociale, cioè tramite la messa in atto dei comportamenti individuali. E’ allora possibile affermare che più comportamenti simili, ripetuti nel tempo “strutturano” un assetto organizzativo, rendendo quel comportamento “il comportamento”, adeguato, legittimo, valido, da adottare in quella specifica situazione.

Una volta che gli assetti sono state creati, gli individui si adattano e seguono le regole che si sono formate, anche se non per sempre. Anzi, le regole che si sono strutturate si trasformano, ancora e di nuovo, mediante l’azione degli individui. Gli individui, infatti, sono attori (nel senso che mettono in atto comportamenti) consapevoli e riflessivi, capaci di valutare le strutture in cui agiscono, di apprendere e di immaginare diverse modalità di comportarsi. Può dirsi allora che gli assetti organizzativi sono al tempo stesso dei facilitatori del comportamento degli individui e il risultato di tale comportamento. Esse si formano mediante i comportamenti pratici che sono adottati dalle persone con continuità in un certo intervallo temporale e spaziale, e rappresentano dunque delle routine, non formalizzate, ma tacitamente seguite. Gli assetti organizzativi che sono creati possono essere compresi mediante tre dimensioni: il significato, vale a dire la loro capacità di fornire schemi di interpretazione con cui attribuire un significato ai comportamenti e agli eventi; il potere, relativo dunque alla capacità di decidere come si ripartiscono le risorse fra gli individui, e la adeguatezza, intesa come quella capacità di regolare con norme i comportamenti premiando quelli “corretti” e sanzionando quelli impropri. Gli assetti organizzativi che le persone creano collettivamente, dunque, aprono molte possibilità all’azione individuale perché rappresentano una sorta di memoria in grado di orientare il comportamento di tutti e di fornire delle indicazioni utili a fronteggiare, si potrebbe dire, diversi livelli di incertezza, senza mettere in atto ex novo processi di ricerca ed elaborazioni di informazioni.

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