skip to Main Content

L’adeguatezza degli assetti organizzativi di Marcello Martinez

Perché in un’impresa, in una pubblica amministrazione, in ogni tipo di aziende piccole o grandi che siano, è importante considerare l’assetto organizzativo? Perché si dà tanta attenzione a questo concetto di adeguatezza dell’assetto organizzativo e, in particolare, cosa significa assetto organizzativo adeguato?
Tali quesiti assumono una rilevanza ancora più significativa se inseriti nel contesto dell’ordinamento giuridico italiano. Infatti, sono innumerevoli le disposizioni normative che, non sempre in maniera “armonica”, indirizzano, regolano, vincolano le scelte di imprenditori, amministratori societari, componenti degli organi di indirizzo politico di enti locali, componenti di organi di controllo, responsabili di posizioni dirigenziali e operative. L’impianto normativo che “avvolge” la progettazione organizzativa, dunque, non può e non deve essere trascurato da chi si occupa di discipline aziendalistiche.
Esistono dei punti di convergenza concettuale e operativa, molto rilevanti a parere di chi scrive, fra dottrina giuridica, pratica professionale e studi di organizzazione aziendale in tema di definizione di assetto organizzativo e di valutazione e vigilanza dell’adeguatezza dello stesso.
Le suddette discipline ovviamente affrontano lo stesso tema con diverse prospettive e riferimenti teorici. Tuttavia, una impostazione basata su un approccio multi-contingente e coerente con la teoria dell’Information Processing View, considera l’assetto organizzativo un fattore centrale per la sua capacità di fornire, agli organi decisori, di controllo ed esecutivi, meccanismi, strumenti e sistemi per affrontare l’incertezza e “trasformarla” in rischio accettabile per un’azienda privata o pubblica. Questa è la stessa concezione di assetto organizzativo assunta e portata avanti dalla principale dottrina giuridica del diritto societario, anche all’interno di quel dialogo professionale e concettuale che essa stabilisce con l’autorità giudiziaria.
Inoltre, rafforzare e valorizzare i punti di contatto fra la disciplina dell’organizzazione aziendale e la dottrina giuridica del diritto societario può consentire, a parere di chi scrive, lo sviluppo di competenze professionali “ibride” utili ad affrontare assetti organizzativi che, nel mondo reale, si presentano anch’essi come “ibridi” originali, o confuse e “disordinate” combina-zioni di elementi spesso tra loro in conflitto. Si ritiene, inoltre, che tale convergenza possa contribuire ad evitare due tipologie di errori in cui spesso possono cadere coloro che a vario titolo si occupano di progettare, cambiare, va-lutare e controllare l’adeguatezza di assetti organizzativi.
Il primo errore può essere e denominato “il libro dei sogni”: spesso nel formulare proposte di cambiamento e di riprogettazione degli assetti si inseguono “mode”, soluzioni dal nome fantasioso e accattivante, ultimamente accompagnate dall’introduzione di tecnologie digitali presentate come una “bacchetta magica” in grado di risolvere ogni tipo di problema o difficoltà. Come i sogni, però, la fattibilità di queste soluzioni si dissolve e svanisce rapidamente non appena occorre affrontare il cosiddetto “rischio giuridico” in base al quale il mancato rispetto di disposizioni normative espone l’azienda e i suoi organi a responsabilità civili e in alcuni casi penali. Le scelte organizzative, infatti, non possono non tener conto delle disposizioni in tema di corporate governance e crisi d’impresa, ad esempio, né trascurare le leggi che disciplinano dettagliatamente il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.
Al tempo stesso, non va neanche commesso il secondo errore, la “trappola della legittimità”: valutare cioè le scelte aziendali e in particolare quello organizzative solo in riferimento al loro grado di conformità a norme e regolamenti. Sebbene apparentemente tranquillizzante, è un approccio che si dimostra debole laddove occorre valutare e fronteggiare invece il “rischio economico e finanziario”. Le scelte organizzative non possono non tenere conto del fatto che le imprese, ma anche le pubbliche amministrazioni, decidono in presenza di risorse scarse e che debbono perseguire obiettivi di redditività, efficienza ed efficacia. Come si vedrà nel prosieguo, evitare tale trappola non significa per le aziende superare la linea della legalità. Anzi, una più attenta conoscenza delle norme in tema di progettazione di adeguati assetti organizzativi fa emergere delle aree di autonomia e discrezionalità decisionale molto rilevanti in ambito sia privato sia pubblico.

Nell’ordinamento giuridico italiano, il Codice civile stabilisce che predisporre assetti organizzativi adeguati costituisce una piena responsabilità dell’imprenditore e degli organi di governo e controllo sociale . La cura, la valutazione e la vigilanza in tema di adeguatezza dell’assetto, rappresentano infatti un vero e proprio criterio di condotta, indicativo di buona gestione aziendale. In particolare, vanno ricordati i seguenti principi e disposizioni:
– è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art. 2082 c.c.);
– l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dal-l’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale (art. 2086 c.c.);
– gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa (art. 2381 c.c.) ;
– il consiglio di amministrazione valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo sulla base delle informazioni ricevute (art. 2381 c.c.) ;
– il collegio sindacale (art. 2403 c.c.) o il consiglio di sorveglianza (art. 2409 terdecies c.c.) o il comitato per il controllo sulla gestione (art. 2409 octiesdecies c.c.) vigilano sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo;
– il collegio sindacale e i soggetti incaricati della revisione legale dei conti si scambiano tempestivamente le informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti (art. 2409 septies c.c.).
Come si nota, dunque, l’adozione di un assetto organizzativo adeguato fa parte dei doveri di un imprenditore, ed è un aspetto aziendale su cui si devono esprimere tutti gli organi che compongono la governance societaria. Più precisamente l’a¬dozione di un assetto organizzativo adeguato può essere delegata alla cura delle figure manageriali di vertice, ma è valutato dagli organi di amministrazione e su di esso vigilano gli organi di controllo .
Per quanto riguarda l’importanza dell’adeguatezza dell’assetto organizzati-vo nell’ambito della gestione delle crisi di impresa, di cui all’art. 2086 c.c. come novellato dal D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 , si evince un nuovo obbli-go per l’imprenditore che è chiamato ad attivarsi per implementare veloce-mente quei cambiamenti nell’assetto coerenti e appropriati ad affrontare un possibile stato di crisi. Un assetto adeguato, dunque, deve consentire a tutti gli organi sociali di monitorare tempestivamente specifici indicatori, predisporre presidi per la verifica dello stato di continuità aziendale e alimentare continui flussi informativi fra le diverse funzioni e organi competenti. Già le Norme di comportamento CNDCEC (settembre 2015) in tema di crisi di impresa, più volte, sottolineavano il dovere dei sindaci di vigilare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo in relazione alle diverse fattispecie di piani di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordati, ecc. Va però evidenziato che l’art. 14 del CCII prevede un nuovo principio più vincolante. Infatti, impone agli organi di controllo l’obbligo di: a) verificare se l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato; b) segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi.
Cosa succede invece se, nonostante si siano adottati specifici assetti organizzativi, comunque si viene a manifestare una situazione di crisi? Che responsabilità si può attribuire agli amministratori? La dottrina giuridica sembra essere ancora divisa. Non mancano posizioni molto rigide che, mutuando quanto accaduto dal settore bancario, confermano sempre una piena responsabilità degli organi di amministrazione. Altre posizioni invece ritengono che “non esiste un sistema organizzativo in grado di eliminare il rischio d’impresa, facendo sì che la liquidazione giudiziale dell’attività di impresa di-venti una fattispecie solo teorica perché la crisi viene sempre evitata grazie agli assetti organizzativi adeguati, tuttavia il legislatore, al fine di evitare la crisi che ha caratterizzato il decennio 2008-2018, ha imposto agli amministratori l’obbligo di individuare per tempo quei fattori scatenanti che sono conosciuti e prevedibili”.
Ma cosa si intende per assetto organizzativo e soprattutto per adeguatezza dello stesso? La legge praticamente non lo dice. Infatti, la stessa dottrina, che si è occupata del tema dal punto di vista del diritto commerciale e societario, non ha mancato di rilevare che nel Codice civile “le suddette disposizioni non precisano neppure cosa siano gli assetti organizzativi né quando possano considerarsi adeguati”, salvo un generico richiamo alla adeguatezza rispetto alla natura e dimensioni della impresa. Questo richiamo viene interpretato, in particolare, come indicativo dell’applicazione di un principio denominato dalla dottrina giuridica di proporzionalità: le imprese devono adottare risorse e procedure proporzionate alla natura, alla dimensione e alla complessità dell’attività svolta. È un principio che, a parere di chi scrive, corrisponde a quello che negli studi di organizzazione aziendale viene definito di multi-contingenza..
La principale dottrina giuridica ritiene che il Codice civile, in conformità all’art. 41, comma 1, Cost. (L’iniziativa economica privata è libera) lasci a ciascuna impresa piena autonomia nella scelta fra diverse alternative di assetto organizzativo, anche se non è noto quali queste siano. Infatti, il legislatore non individua assetti organizzativi predeterminati, ma stabilisce un principio di adeguatezza/proporzionalità, che deve tener conto di almeno due variabili: natura e dimensione dell’impresa. A questo punto il Codice civile si ferma. All’interno di questo perimetro, le imprese, l’imprenditore, gli organi di governo e i loro delegati possono esercitare la loro autonomia e progettare un loro assetto organizzativo. È pacifica l’interpretazione della dottrina giuridica che dunque tale obbligo di dotarsi di un assetto organizzativo adeguato rappresenti per l’imprenditore in genere e per gli organi societari un “dovere aperto” in quanto “non esiste un assetto organizzativo ideale” . Nella disciplina dell’organizzazione aziendale il riconoscimento della impossibilità di adottare un assetto “universale” (la cosiddetta one best way) e la pragmaticità di adottare un approccio multi-contingente sono principi che approfondiscono e, forse, completano il criterio di proporzionalità indicato dal legislatore.
Non si può però dimenticare come sia spesso evidenziato che tale autonomia, tale “dovere aperto” potrebbe avere delle ricadute significative in termini di responsabilità dell’imprenditore e degli organi societari, laddove eventuali indagini giudiziarie volessero contestare loro l’adozione di assetti inadeguati . Numerose sono le raccomandazioni formulate dalla dottrina giuridica e rivolte ad evitare che si commettano “errori” da parte dell’autorità giudiziaria. Questa, in principio, deve evitare di impegnarsi in una valutazione di merito e la-sciare invece che prevalga la cosiddetta Business Judgement Rule. Infatti, una valutazione di merito difficilmente potrebbe dimostrare la non conformità fra l’assetto adottato in un’azienda e un assetto ideale che, come è noto, non esiste né in teoria né in realtà. Ugualmente, la dottrina raccomanda all’autorità giudiziaria di non cedere alla tentazione di svolgere solo un controllo formale fondato sulla verifica dell’esistenza di documenti “perfetti sulla carta” ma disattesi nella pratica.
In ogni caso, gran parte della dottrina giuridica ritiene che, visto il contenuto generico del dovere di dotarsi di un assetto organizzativo adeguato, sia compito del giudice svolgere un’attività di “integrazione del precetto giuridico indeterminato”. In sostanza, in fase giudiziale si rinvia al giudice l’individuazione di uno specifico criterio per dimostrare se l’assetto adottato sia adeguato o meno. Il giudizio non può essere espresso dal giudice sulla base di una sua personale interpretazione, ma deve fare riferimento a regole e prassi di buona gestione (esercizio guidato della discrezionalità giudiziale) tra cui sicuramente vanno considerate sia le cosiddette soft law, tra cui particolare rilievo hanno i documenti elaborati da associazioni di categoria o di professionisti, come i codici di autodisciplina delle società quotate o le già citate Guide operative del CNDCEC, sia le indicazioni formulate dalla disciplina dell’organizzazione aziendale.
La dottrina giuridica evidenzia, però, anche che la valutazione giudiziale deve contestualizzare la scelta di merito gestorio condotta dagli organi aziendali. Deve dunque tenere conto di fonti documentali che dimostrino la motivazione delle ragioni per cui si è adottato uno specifico assetto organizzativo, o più concretamente per cui si sono messe in atto azioni ed interventi di progettazione e cambiamento organizzativo. In alcuni casi, la dottrina sostiene che il giudice potrebbe contestare le scelte effettuate se queste sono viziate da una oggettiva imprudenza, da valutare in ogni caso rispetto a quel particolare momento della vita aziendale nel quale la decisione è stata assunta. Da questo punto di vista, un ulteriore elemento di tutela sarebbe invece proprio l’interazione dinamica fra gli organi aziendali, suggerita e prevista dal Codice civile. Infatti, la presenza di una documentazione che testimoni l’avvenuta interazione tra organi può fornire evidenza delle motivazioni sottese alle decisioni assunte sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo. Spesso citate a tal proposito sono le Disposizioni di vigilanza per le banche – Circolare Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 e s.m.i., che confluiscono alla fine in una sintetica espressione, testimonianza della necessità di mettere in atto con-sapevoli scelte in tema di assetti organizzativi: “Per assicurare una corretta interazione tra tutte le funzioni e organi con compiti di controllo, evitando sovrapposizioni o lacune, l’organo con funzione di supervisione strategica approva un documento, diffuso a tutte le strutture interessate, nel quale sono de-finiti i compiti e le responsabilità dei vari organi e funzioni di controllo, i flussi informativi tra le diverse funzioni/organi e tra queste/i e gli organi aziendali e, nel caso in cui gli ambiti di controllo presentino aree di potenziale sovrapposizione o permettano di sviluppare sinergie, le modalità di coordinamento e di collaborazione” .

Back To Top